lunedì 11 aprile 2011

Glasses

Dem è arrivato quasi subito dopo la sua chiamata. Doveva parlarmi, ha detto.
Quando è arrivato a casa mi è preso un colpo. Sarà che non lo vedevo da una settimana, e che ogni volta sembra sempre più giovane. Aveva un paio di occhiali da vista neri, come quelli che piacciono a me. Li mette di tanto in tanto, specialmente nelle giornate di sole. Appena è entrato mi ha presa in braccio e mi ha abbracciata. Avevo ancora le splendide scarpe col tacco che ho comprato a Bournemouth, visto che stavo facendo delle foto. Mi ha sorriso quando ha visto che nonostante il tacco di quindici centimetri ero ancora più bassa di lui.
« Non ti stanno scomode? » mi ha chiesto. Gli ho detto di no.
« Sarai sempre più bassa di me. »
« Che mi dovevi dire di importante? »
In situazioni del genere preferisco tagliare corto. Dem ha abbassato lo sguardo.
« Procediamo con calma, dai. Mi prepari del té? »
« Ho del caffè, accontentati e dimmi quello che mi devi dire. »
Dem si è seduto sul divano del salotto, dove un attimo prima ero seduta io a fare le foto.
« Tra un po' parto. » mi fa « Mio padre sta male, e non so quanto e né se resisterà. »
Ho sentito qualcosa fermarsi. Il cuore, credo.
Il padre di Demetri non abita a Roma, o a Milano, o a Torino. Il padre di Demetri abita in Inghilterra.
« Non starò via per troppo tempo, te lo prometto. » mi dice ancora « Ci sentiremo ogni giorno. »
« Vattene. »
Demetri ha sgranato gli occhi. « Perché? »
« Va'... va' via. »
Ho indietreggiato e mi sono appollaiata sulla poltrona. Ho pensato che era totalmente assurdo. Non poteva andarsene. Ed era ancora più assurdo il fatto che io mi stessi comportando in maniera così egoista, ma avevo paura.
Demetri si è avvicinato a me, inginocchiandosi davanti alla poltrona ed affondando la testa nel mio vestito, mentre io rimanevo impassibile.
« Papà sta morendo, Lulù... » mi fa « Non posso lasciarlo senza suo figlio. »
Lo guardo in faccia.
« Non ti farai sentire, già lo so. »
« No, te lo giuro. »
Forse era meglio irrompere nell'appuntamento di Andrea, stamattina ho pensato.
Meglio del sentirmi dire quelle cose.
« Facciamo l'amore prima che parta. » mi ha detto.
L'ho spinto via, alzandomi dalla poltrona e barcollando un po' per via dei tacchi.
« Puoi scordartelo. »
Demetri mi afferra per un braccio. « La mia non era una proposta amichevole, Ludovica. »
Ho provato a liberarmi senza alcun risultato. Dem si è aggiustato gli occhiali e si è passato la lingua sulle labbra, da bravo cane qual'è.
« Lasciami andare immediatamente, altrimenti... »
« Altrimenti? »
Altrimenti gli avrei sferrato un calcio su uno stinco, come poi ho fatto circa due secondi dopo. Dem ha mollato la presa ed io sono corsa in camera, dove lui è arrivato neanche cinque secondi dopo, afferrandomi per i capelli e facendomi cadere a terra.
Odio situazioni del genere. Odio Demetri quando fa così, quando non accetta un due di picche, quando sa che per me con lui non è fare l'amore.
« LASCIAMI STARE! » gli ho urlato. Ma quante volte gliel'avrò urlato? Mille? Tremila? Non mi ascolta, non mi ha mai ascoltata. Si è messo a cavalcioni su di me e mi ha guardata negli occhi mentre mi stringeva i polsi con una sola mano sopra alla testa.
« Hai paura? »
« Aspetta che mi liberi e ti ammazzo, lurido cane che non sei altro! »
Si è slacciato i bottoni dei jeans quando sono riuscita a  liberarmi. L'ho colto di sorpresa e gli ho tirato un pugno sul naso. Ero irata.
Mi sono alzata e gli ho urlato in faccia tutta la mia rabbia. Ha provato ad alzarsi ma gli ho tirato un calcio sui denti. E dopo un altro, e un altro ancora.
« CAZZO, DEMETRI! » ho urlato « SE VUOI FARE SESSO CON ME, ME LO DEVI CHIEDERE CON GENTILEZZA! »
Dem sembrava quasi spaventanto, mentre lo picchiavo con una violenza inaudita, non preoccupandomi del pavimento che si stava macchiando della sua saliva insanguinata.
« LUDOVICA, VUOI FARE SESSO CON ME, PER FAVORE? » ho detto, e ancora « TI DONA QUESTO VESTITO, ME LA DAI? »
Demetri mi ha afferrato una gamba. Stava rischiando davvero di perdere qualche dente.
« CALMATI, CAZZO! » ha gridato.
Mi sono accasciata a terra e lui mi ha abbracciata. « Scusami. » ha detto.
« Non devi farlo più... »
« Non lo faccio più. Non lo farò mai più, te lo prometto. »

venerdì 1 aprile 2011

meet me in montauk

Ore 12:47, suona il campanello.
Ero appena rientrata a casa dopo una mattinata di shopping con M., esausta, ma soddisfatta.
Ho aperto la porta, e mi trovo lui davanti. Dem. Nonostante approfitti spesso ormai, del mio venerdì libero, non mi aspettavo di trovarlo. Infatti ha fatto una faccia stranita quando ha visto la mia espressione sorpresa. Non ha detto una parola, ed io ho fatto lo stesso. È entrato in casa, ha posato il suo cellulare sul tavolo del soggiorno ed ha iniziato a camminarvi lentamente intorno, passando la mano dalle lunghe dita ossute sul legno color ciliegio.
Era il posto dove... dove beh, insomma. Dove era successo quello che è successo.
Confesso che il fatto che stesse zitto, senza dire nulla, mi ha spaventata più del dovuto.
Sono rimasta all'impiedi, guardandolo. Aveva gli occhi vitrei puntati sul tavolo, e si muoveva con una lentezza esasperante, quasi innaturale.
« Siediti » ha detto all'improvviso, facendomi trasalire. Sono andata a sedermi sul divano, abbracciandomi le gambe. Lui si è seduto vicino a me.
« Come stai? »
« Erwh... bene, credo. Anzi, no. »
« Perché? »
« Perché... perché boh, tutti i sentimenti che provavo per... lui... stanno svanendo. »
Demetri ha sorriso. « È una cosa splendida! »
« No. Cioè. No, assolutamente! »
« Di chi è quella t-shirt? »
Dem sposta lo sguardo su una t-shirt che mi sta larghissima e che uso a mò di vestito, regalatami da Gianluca.
« Mia » gli dico « È il regalo di un mio amico. »
« Posso provarla? »
Annuisco e Dem si sfila la camicia viola, mostrandomi il torace. Non lo vedevo dal famoso giorno in cui ci... "unimmo", posso dire così?
Ammetto a malincuore di essere rimasta per un attimo a bocca aperta quando è rimasto senza vestiti. Insomma, non lo credevo così. Era una parte di lui che non conoscevo.
O che per meglio dire, non ricordavo.
Dem ha un corset dietro alla schiena. Il piercing, intendo. Anzi, i piercing. Non è che gli si addicano molto. Più che altro perchè ce li vedo di più addosso ad una femmina.
Lo schermo del mio pc si è illuminato, qualcuno mi aveva contattata su msn. Dem è scattato, prima mi ha tirato un'occhiataccia e poi ha fatto per alzarsi e andare a vedere chi era.
Detesto il fatto che debba farsi gli affari miei. Odio il suo essere così possessivo nonostante io non sia la sua ragazza.
Si è alzato ed io l'ho afferrato per il nastro che aveva dietro alla schiena, tirandolo con una violenza tale che un piercing si è strappato dalla carne, producendo un rumore sordo, e facendo schizzare del sangue sulla mia mano. Ho mollato immediatamente la presa e Demetri ha urlato dal dolore.
« Cazzo... »
« CAZZO, MA SEI CRETINA? »
Mi sono alzata e gli sono andata vicino, controllando il danno dietro alla schiena. Dem ha iniziato a piangere dal dolore.
« DANNAZIONE! » ha urlato. E ancora « STRONZA! »
« PIANTALA DI FARTI GLI AFFARI MIEI! » gli ho gridato io. Dem non ha risposto, si è solo inginocchiato a terra mentre il sangue gli macchiava la pelle e piano piano gli stava raggiungendo anche l'orlo dei boxer.
« Vado a prendere del disinfettante. » ho detto, andando nel bagno a prendere tutto il necessario per disinfettarlo. Avevo paura gli servissero dei punti.

Mi stavo cambiando d'abito mentre Demetri si teneva ferma l'ovatta sulla ferita. Gli avevo ordinato di non guardarmi perché era una cosa che mi imbarazzava fin troppo, ma naturalmente non mi aveva dato ascolto. Ero rimasta solo col completo intimo quando lui mi ha detto di avvicinarmi e controllare che la ferita non sanguinasse più. Ha sollevato l'ovatta e mi ha fatto vedere la ferita, che sebbene fosse pulita, continuava a sanguinare.
« Sanguina ancora. » gli ho detto.
« Inginocchiati. »
Non avevo capito.
« Cosa? »
« Ho detto: inginocchiati. »
« Perchè mai? »
« Fallo e basta. »
Mi sono inginocchiata quando Dem ha avvicinato la sua ferita alla mia bocca. Storcendo il braccio, ha infilato una mano tra i miei capelli e mi ha detto di leccargli la ferita.
Sembrava qualcosa di terribilmente sconcio, invece lo stava facendo per me, approfittando della situazione. Però il fatto che fossi seminuda mi faceva sembrare il tutto decisamente peccaminoso. Ad ogni modo l'ho fatto, e dopo Dem si è girato verso di me e mi ha guardata.
Strattonandomi, mi ha fatta prima alzare e poi mettere a cavalcioni sulle sue gambe. Poi mi ha baciata.
Non volevo che mi baciasse, ma sono rimasta zitta, senza dire nulla. Sentivo solo il rumore del nostro bacio.
« Non volevo che partissi senza che ti avessi salutata. »

lunedì 28 marzo 2011

Vorrei che tu ed io fossimo solo una fantastica foto

Potrei soffocare nelle parole crude di Demetri, che poi lo so che le spara appositamente per rendermi più vulnerabile. Però ho ancora bisogno di trattenere la testa tra le mani, quando mi parla di lui. Di Andrea.
Chissà se pensa a te mentre scopa quella, o cose del genere. Non gliene importa di quante lacrime posso versare, se me lo dice dietro uno schermo. In realtà nessuna, ho stretto gli occhi per farli smettere di pizzicare, per evitare il pianto. Poi ho chiuso la conversazione ed ho smesso di rispondere a Dem perché le sue parole erano sale su ferite aperte. E intanto continuavo a immaginare un discorso con lui dove - per una volta - non mi incitava a stare lontano da A., ma ad avvicinarmi a lui.

Senza rancore, ammazzalo di botte. 
Decisamente no.
Vorresti avere il suo viso tra le mani
e
affondargli le unghie 
nella carne.
Nella schiena.
Le sue mani le vorresti dentro di te, piccola libertina
E molto altro.
Morderlo così forte da lasciargli un segno per tutta la vita
magari sul collo, o su un fianco, come piace a te
Vorrei
urlare mentre ti tira i capelli, vorresti graffiare il graffiabile
lasciargli rossetto rosso sulla pelle
divorare lui e divorargli l'anima.
Sei cattiva cattiva cattiva, se cose del genere ti eccitano così, ma non ti vergogni?
Berresti tutto di lui solo per il gusto di sentirlo dentro di te
forse dovrei togliermi questo sorriso dalla faccia
forse dovresti smetterla di avere quel sorriso demoniaco, proprio
picchialo, picchialo, picchialo, fallo sanguinare
Non può davvero immaginare la mia voglia quasi malata di divorare ogni cosa di lui.


Ovviamente Demetri non mi dirà mai cose del genere.

sabato 26 marzo 2011



È stata una serata fantastica, non mi divertivo così tanto da molto, molto tempo. Sono tornata a casa senza quel senso di pesantezza ed amarezza, e tutto grazie ai miei amici, e alla musica (ma va?). È stata una specie di sogno lucido, dove potevo tranquillamente far accadere quello che più mi piaceva. Mi sono sentita apprezzata, almeno per una volta. Non ho avuto sguardi indiscreti addosso, eccetto uno, decisamente poco importante. Ne parlerò più avanti.
Ero bella. Con i jeans e la t-shirt, e gli occhi libidinosi di alcuni ragazzi addosso. La velata timidezza che sfoggiavo sotto al palco. La finta timidezza. E poi, ancora, quell'antico senso di totale onnipotenza. E strafottenza. Tutti mi amano.
Tutti, tutti, tutti, tutti. Sono il dessert preferito di chiunque, il bocconcino, il dolce. Sono il veleno. Sono l'assenzio. Sono la tua mancanza. Sono ciò che provoca il tuo senso di insoddisfazione. Sono la crepa che c'è nel tuo cuore.
E sto tornando a vivere.

« Hai capito? Credeva che stessimo insieme! Ha detto "ma io credevo che stessi con Ludepressa!" » ha detto mio fratello, Lù.
« Ludepressa? »
« Mh! »
« Dille che - forse - quando avrà raggiunto il metro e sessanta di altezza, allora -e solo allora - forse potrà permettersi di parlarmi. »

venerdì 25 marzo 2011

Red Fruits.

Té ai frutti rossi per me e per Dem. E pensare che fino a qualche tempo fa il té lo odiavo con tutto il cuore. In realtà continuo ad odiarlo, il té nero. O il té verde.
Nonostante abbia detto svariate volte a Dem che non mi andava di vederlo, stamattina ho lasciato che entrasse in casa mia, vuota, come al solito.
Si è seduto e mi ha guardata attentamente mentre gli preparavo il té, che tra l'altro è l'unica cosa che so fare abbastanza bene.
« Ti fa ancora male il labbro? » mi ha chiesto.
« No! » gli ho risposto.
Mi guardava in maniera... strana, non so neanche definire bene come. Era come se avesse capito che gli nascondessi qualcosa. Aveva una camicia bianca con i merletti così belli che ero tentata a toccarli per sentire se erano davvero morbidi come sembravano. Non aveva il trucco, stranamente.
Sembrava maschio, stranamente.
« Qualcosa non va? » gli ho chiesto, mentre picchiettava le lunghe dita affusolate sul tavolo della cucina.
« Mi devi dire qualcosa? »
« Affatto! »
Dem ha sospirato, si è alzato e si è avvicinato a me, che tenevo in mano la tazza con l'acqua calda.
In meno di cinque secondi me lo sono trovato così vicino che ho sentito il suo respiro addosso.
« Posa la tazza. »
« Non posso, si raffredda e... »
« Posa la tazza! »
Agli ordini, sir. Ho posato la tazza sul colapiatti e l'ho guardato. Prima si è spostato i capelli dal volto e poi mi ha posato le mani sui fianchi. Paura. Freddo. Terrore.
« Lo so che lo senti ancora. »
« Non vedo il problema! »
« Mi dà fastidio. »
« Ti stai comportando come se fossi il mio ragazzo, e non lo sei. E levami le mani di dosso! »
« Lo sai che... »
Ho spinto Demetri. « Piantala. Siamo solo amici, ok? Non ci trovo niente di male. »
Lui è scoppiato a ridere. « Amici?! Voi due? Piantala... »
Sapevo esattamente cosa stava per dire.
« ...Due che si amano non possono essere amici. »
Ho infuso la bustina di té nell'acqua calda, mentre si colorava di rosso. Mi sono girata verso di lui, ghignando.
« Giàààà »

domenica 20 marzo 2011

Il suo nome era D.

Non riesco a ricordare un momento in cui ho trovato Demetri attraente, eccetto stamattina. Con la sua maglietta nera, le sue maniche arrotolate sopra al gomito. I suoi capelli per una volta non perfetti.
Era lì, fermo vicino al frigorifero. Mi guardava le gambe mentre preparavo il té alla menta.
« Mi dispiace che i tuoi non siano in casa » mi fa « Avrei voluto salutare tua madre, non la vedo da un pezzo. »
« Mh! » ho mugugnato io « Se vuoi te la saluto. »
« Sarebbe gentile. »
Non nascondo che avevo un freddo boia. Avevo addosso solo la t-shirt.
« Vuoi del the? »
Demetri annuisce, si siede a tavola, io mi siedo sul tavolo, dandogli le spalle.
« Il the è lì. Se vuoi, prendilo. »
Si dirige verso la sua tazza con l'acqua calda, prende la bustina di the alla menta e si prepara il the.
Si volta a guardarmi dopo un paio di minuti, e sorseggia.
Gli sorrido.
« Come stai? » mi chiede.
« Carica. Sto meglio, decisamente. »
« Mi fa piacere sentirtelo dire. »
Si avvicina a me e mi abbraccia. Mi cade il the sulla gamba, scottandomela.
« Cazzo! »
« Uh, che sbadato. Ti sei fatta male? »
« Essì che mi sono fatta male! Ora mi viene l'orticaria, stronzo! »
Demetri prende un tovagliolo e mi asciuga. « Orticaria? » ripete.
« Sì, ho la pelle delicata! » rispondo.
« Ah. Scusami, non volevo. »
Mi tocca la gamba, ha le mani gelide e rabbrividisco.
Scendo dal tavolo, mi aggiusto le mutandine. Indietreggio di qualche passo e ghigno.



« Demio... Tu sei qui per scoparmi, vero? »

venerdì 18 marzo 2011

Ho passato l'intero pomeriggio a creare immagini di me in anime style. Era la cosa più rilassante che potessi fare. Non mi va di andare a dormire perché non mi piace il risveglio, anche se domattina ho un appuntamento a cui non posso proprio mancare. Mi sento un po' vuota, ho come la sensazione di aver buttato gli ultimi due anni della mia vita nel cesso. Anzi, io ho buttato gli ultimi due anni della mia vita nel cesso. Ricominciare è difficile, ma non sembra impossibile, e forse questi sono pensieri che domattina non avrò, che lo sai che intrattenere conversazioni di notte con me è totalmente diverso dal giorno?
No, non lo sapevi perchè di notte non c'eri mai, già.
Che poi ti sembrerà crudele, ma ho un dolore dentro. Non dentro nel senso metaforico del termine, già. Hai capito a che "dentro" mi riferisco. Tornerei indietro e terrei per me la mia verginità per avere meno ricordi che fanno male, e forse non avrei neanche quella sensualità malata da Lolita. Mezza bambina e mezza demonio. Non arrossirei e sogghignerei a pensare a come mi tremavano le gambe durante l'orgasmo. O a come volevo sodomizzarti e per sfuggire a questo dovevo ringhiare O socchiuderei gli occhi con le dita tra le gambe a pensare che Dio dice che queste cose non si fanno, ma io le faccio lo stesso.

Non sono mai stata una brava ragazza, non lo sarò mai.